Un mondo che non tutela l’infanzia ha fallito l’appuntamento con l’evoluzione
La storia dei diritti dell’infanzia parte da molto lontano. Nel 1924, le scienze umane e sociali avevano ormai portato alla luce che il bambino non era né un vuoto da riempire né un bozzolo d’uomo da liberare dal peccato originale, e la Società delle Nazioni emanò la prima Dichiarazione dei diritti del fanciullo. La Dichiarazione, riconosceva il bambino per la prima volta come essere umano completo, con bisogni specifici che ogni nazione aveva il dovere di tutelare e garantire. Un grande salto in avanti per un’umanità ferita dalla Grande Guerra, che aveva bisogno di un “mai più” che poi, come sappiamo, fu presto tradito.
Saltando il passaggio intermedio del “mai più” che seguì il secondo conflitto mondiale, le Nazioni Unite emanarono la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia il 20 novembre 1989. A differenza dei due precedenti, quest’ultimo documento vincola gli Stati che lo ratificano. Oggi tutti gli Stati del mondo, ad eccezione degli USA, hanno approvato la Convenzione, sebbene spesso con importanti riserve e dichiarazioni che ne limitano l’applicabilità e ne attenuano i vincoli.
In Italia
In Italia, la Legge 27 maggio 1991, n. 176 ha assorbito la ratifica trasformandola in normativa. Negli anni ’90, l’Italia, forte anche delle esperienze degli altri paesi europei (che, dagli anni ’70, vivevano una sorta di “contro-colonizzazione” con scarsi successi di gestione dei fenomeni di marginalità sociale) e dell’attivismo pedagogico degli anni ‘80, ha compiuto un importante scatto in avanti, sia scientifico che normativo, diventando il Paese del mondo più all’avanguardia in termini di tutela dell’infanzia e dell’adolescenza.
Di quegli anni sono anche le norme che hanno permesso l’apertura di servizi dedicati, l’ingresso della prevenzione e della multiculturalità nelle scuole (oggi diventata inter-) e quella massiccia presenza di occasioni di aggregazione e formazione sui territori che oggi sembra già essere un lontano ricordo.
Le istituzioni tradiscono nuovamente l’infanzia e l’adolescenza, oggi, sempre più preoccupate di tagli e razionalizzazioni che del benessere dei propri cittadini più fragili ed esposti alla furia degli eventi economici e sociali globali.
I bisogni di oggi
La povertà economica, la povertà educativa, le guerre, le migrazioni disperate e i femminicidi ci pongono di fronte a una popolazione orfana, i cui numeri fanno girare la testa e che dovrebbero toglierci il sonno. Bambini con bisogni di cura specifici entrano nel circuito dei mille satelliti dell’accoglienza senza che dietro ci sia più una visione d’insieme, una visione di futuro. In questo ambito, l’ong Save The Children sta facendo molto, offrendo anche studi statistici, approfondimenti, ricerche utili a comprendere i fenomeni sia come dato quantitativo che qualitativo. È evidente che tutto questo, per quanto necessario e lodevole, non basta.
È compito dello Stato, dell’intera società italiana assumersi il compito di crescere questi “figli di tutti”.
Quali risposte
Mai come oggi, però, la società sembra lontana dal comprendere tale necessità, sempre più disgregata e ripiegata su sé stessa, incapace di vedere le migliaia di bambini e adolescenti soli che la circondano in attesa di risposte. Un mondo che non tutela l’infanzia ha fallito l’appuntamento con l’evoluzione. Troppo impegnato ad accumulare ricchezza e dimentico di un benessere che non deriva soltanto da essa ma da un ventaglio di parametri che ci parlano di salute, affettività, importanza degli ambienti di vita, opportunità di sviluppo personale e territoriale.
È necessario tornare a parlare di infanzia e di adolescenza, con servizi, istituzioni, scuole, popolazione adulta che a a cuore questo tema e che si assuma l’onere di lavorare per offrire nuove risposte e dare un futuro al paese e alla democrazia.